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02 marzo 2007

Depone in aulo l'ex imam di Sorgane

Il processo. Ieri ha deposto l'ex imam di Sorgane e uno dei giovani che secondo la procura era pronto a partire

Islamici, le intercettazioni in aula

«Adesso muoio e non mi sposo»

Un continuo botta e risposta tra il pm e gli imputati che chiariscono le dichiarazioni
Alessandra Bravi

«Muoio e non mi sposo». «Devo scegliere tra due strade, anche se loro mi danno oro, io preferisco un'altra via». «Puoi prendere il patentino per l'aereo con 800 dollari in Iraq, fai lezioni e lo prendi». Mai in un processo, le parole sono state così importanti. Le parole intercettate che hanno un significato che spaventa. Le parole spiegate, quelle a cui, i sette imputati di terrorismo internazionale, provano a dare un senso logico. Lo scambio a cui si assiste
è serrato. Un botta e risposta che va avanti per ore tra il pm e gli imputati. E di colpo, l'aula bunker del tribunale di Firenze, diventa una sorta di incontro-scontro tra due linguaggi
e due culture profondamente diverse.

TOCCA A RACHID. L'ex imam della moschea di Sorgane.
Quello che deve difendersi dall'accusa più pesante: aver convinto gli altri giovani musulmani a costituire una cellula pronta a partire per farsi esplodere in Iraq. Rachid si sottopone all'esame della corte perché, dice, «proverò la mia innocenza». In un italiano stentato racconta di essere conservatore, di non voler stringere la mano di una donna, di aver sentito parole di rabbia all'interno della moschea.
«Ma dopo ogni strage, la rabbia sale, è normale, poi tutto torna com'era». E sì che si apprestava a partire. Ma partiva per l'Algeria. Quello era l'appuntamento, di cui tanto si discute nelle intercettazioni.
«Appuntamento in arabo significa partenza. Stavo per tornare da mia moglie, dalle mie figlie».
E poi sul suo ruolo, quello di imam, di predicatore volontario.
«Io non sono il punto di riferimento di nessuno. L'imam non ha potere sulle menti delle persone, ricordatelo». Subito dopo, sul banco degli imputati sale Adel, 26 anni. Il pm elenca preciso tutte le intercettazioni a sostegno dell'accusa. Sono sue le frasi sull'aereo, sul patentino da prendere. E Adel racconta cosa aveva in mente. «Il patentino mi serviva per guidare un'aereo per la disinfestazione.
Io volevo andare in Iraq, ma volevo andarci perché mi occupo di agricoltura e là il mercato è fiorente». Poi parla della sheeda.
Che gli interpreti hanno tradotto con la parola martirio. Alla domanda del pm: «Perché dice accettami durante la sheeda e la morte mi accolga?». Adel risponde: «La sheeda per i musulmani è una sorta di iniziazione all'islam, una preghiera che si dice al mattino e alla sera.

La chiave
1 I giorni dell'arresto
L'inchiesta partì da Genova con il fermo di un esponente islamico accusato di far parte della jihad islamica e approdò a Firenze, dove nel maggio del 2004, la procura ordinò l'arresto di una presunta cellula terroristica.

2 Le diverse conversazioni
È guerra di perizie. Le accuse sostenute dai pm Luigi Bocciolini e Francesco Fleury, si basano per la maggior parte su alcune conversazioni intercorse tra gli imputati. E che vengono tradotte in maniera diversa dai vari consulenti che si sono avvicendati durante
l'inchiesta.

3 Un'ulteriore perizia
Quando iniziò il processo, nell'ottobre del 2005, i pm chiesero alla corte un'ulteriore perizia, che riduceva la portata delle
intercettazioni.

Il dato
«Una buona notizia»
In una intercettazione tra Adel e la fidanzata si fa riferimento ad una buona notizia, ma lui rivela cos'è. A mezza bocca dice: «È il pellegrinaggio che sai tu». Ieri in aula, Adel ha spiegato che la fidanzata voleva sapere i suoi spostamenti. Ma lui non le voleva dire che tornava a casa per sposarla.

il Firenze 27.02.2007

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